Comprendere meglio il mondo in cui viviamo

Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”.

Ho riletto più volte questo pensiero ricco di significato che la Senatrice a vita e sopravvissuta al campo di sterminio di Birkenau, Liliana Segre, ha ripetuto più volte, sforzandomi di comprendere fino in fondo la sua potenza.

Ma andiamo con ordine, vorrei approfondire tre parole che compongono questa frase, la  prima che merita un’attenzione particolare è la Memoria.

Secondo il dizionario Treccani è:

In generale, la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. In particolare, con riferimento all’uomo (nel quale tale funzione raggiunge la più elevata organizzazione), il termine indica sia la capacità di ritenere traccia di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee, ecc. di cui si sia avuto esperienza e di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato riconoscendole come stati di coscienza trascorsi, sia i contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono rievocati, sia l’insieme dei meccanismi psicologici e neurofisiologici che permettono di registrare e successivamente di richiamare informazioni.

La seconda è Indifferenza:

In filosofia, stato tranquillo dell’animo che, di fronte a un oggetto, non prova per esso desiderio né repulsione; o che, di fronte all’esigenza di una decisione volontaria, non propende più per l’uno che per l’altro termine di un’alternativa. Nell’uso comune, spesso con tono di biasimo, condizione e comportamento di chi, in determinata circostanza o per abitudine, non mostra interessamento, simpatia, partecipazione affettiva, turbamento.

Per concludere, la terza è Coscienza:

Consapevolezza del valore morale del proprio operato, sentimento del bene e del male che si fa: avere, non avere coscienza; agire con coscienza; esame di coscienza, esame riflesso delle proprie azioni per poter discernere il bene e il male compiuto, e quindi riconoscere le proprie eventuali colpe (soprattutto come atto preparatorio al sacramento della confessione). Anche come criterio supremo della moralità o, in modo più attenuato, come sensibilità morale.

Secondo il valore e il significato di queste tre parole mi chiedo: ma noi abbiamo fatto i conti con il nostro passato?

Per quanto può sembrare un discorso trito e ritrito, ancora oggi spuntano personaggi più o meno noti, e non solo, che fanno fatica a pronunciare la parola antifascismo. Nonostante siano  diversi gli appelli che provengono da parte delle istituzioni che ricordano ai nostalgici che la nostra Costituzione nasce e si fonda sui valori dell’Antifascismo e della Resistenza.

Coltivare la Memoria, ripartiamo da qui.

Nella prefazione della mia precedente pubblicazione “Vite Spezzate”,  Daniele Nahum scrive: “Ma possiamo dire, in Italia, di avere fatto i conti con la pagina più buia della nostra storia? Quanti sanno – e non mi riferisco solamente alle giovani generazioni- dell’impatto drammatico che le leggi razziali ebbero sugli ebrei italiani? Quanti saprebbero dirci il numero degli ebrei italiani morti nei campi di concentramento nazisti? Pochissimi. Nella narrazione collettiva si pensa che le leggi razziali, in Italia, furono all’acqua di rose e che in fondo perirono pochi ebrei italiani ad Auschwitz”.

Ed aggiunge: Se dovessimo chiedere a qualsiasi persona cosa successe il 16 ottobre 1943 al Ghetto di Roma pochi saprebbero rispondere perché questo Paese, i conti con la propria storia, ancora non li ha fatti. Eppure da quel rastrellamento furono catturati dalla Gestapo, in un solo giorno, 1024 ebrei italiani e solo 16 di essi tornarono, di cui solo una donna, Settimia Spizzichino. Nessuno degli oltre 200 bambini sopravvisse. Non è un caso che nel nostro Paese, la data ufficiale in cui si commemorano le vittime della Shoah sia il 27 gennaio e non il 16 ottobre? Per la Francia invece la data ufficiale è il 16 luglio del 1942, giorno del rastrellamento del Velodromo d’inverno. Sembra quasi che scegliere di focalizzarci solo sul 27 gennaio lasci un messaggio di fondo a questa nostra narrazione collettiva come se le persecuzioni antiebraiche e il genocidio ebraico sia accaduto in un luogo lontano da noi, laggiù in Polonia e che noi italiani centriamo poco e nulla con il più grande crimine mai compiuto dalla storia nei confronti di un popolo.

Mi permetto di aggiungere, siamo in grado di comprendere e quantificare quanti sono stati gli innocenti che hanno subito la deportazione e che in gran numero non sono più tornati a casa?

Antifascisti, partigiani, sindacalisti, scioperanti, fiancheggiatori della resistenza, renitenti alla leva, militari disertori, detenuti comuni, militari italiani sotto processo, chi aveva aiutato gli ebrei, gli ebrei stessi, tutti come ripete la senatrice Segre: “Con la sola colpa di essere nati”.

Il 1° Novembre del 2005 durante la quarantaduesima riunione plenaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, venne finalmente designato dalla risoluzione 60/7 la ricorrenza internazionale del Giorno della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto, celebrata il 27 Gennaio di ogni anno. Si scelse quel giorno perché il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di sterminio di Auschwitz.

Sarebbe utile, a questo punto, individuare un giorno in aggiunta che possa fare memoria delle atrocità che il regime fascista insieme ai nazisti hanno perpetuato nel nostro Paese.

Questa non è una richiesta estemporanea per ottenere una data simbolica da aggiungere nel nostro calendario, ma piuttosto è uno sforzo a rimettere in discussione e fare una volta per tutte i conti con i nostri scheletri dentro gli armadi. In un Paese dove ci si innamora facilmente dell’uomo solo al comando, dove esiste una teoria cospirazionista e complottista per ogni cosa, provate ad immaginare cosa potrebbe succedere se un giorno, si spera lontano, non avendo più testimoni diretti delle deportazioni, qualcuno potesse far breccia seriamente nel cuore di molti riuscendo ad istillare la menzogna della non esistenza di quanto accaduto.

Non serve andare troppo lontano con la fantasia, vi faccio un piccolo esempio. Il 27 di maggio del 2023, ho partecipato ad una iniziativa del Comune di Rho, ci  siamo recati in Austria per il pellegrinaggio della memoria, nei campi di Mauthausen, il Castello di Hartheim e il sottocampo di Gusen I. Proprio nell’ultimo, mi sono ritrovato di fronte a quello che un tempo era l’ingresso principale del campo. Per intenderci, veniva definito dai prigionieri l’inferno in terra.

In quel momento mi si è raggelato il sangue e ho provato sdegno e rabbia nel vedere l’arco di quello che era come dicevo prima l’ingresso principale, divenuto parte di una moderna e bianchissima villa da poco ristrutturata.

Ma siccome quando si inizia a raschiare il fondo del barile, non c’è mai limite al peggio, percorrendo quello che un tempo era lo spazio destinato alla detenzione forzata e alla morte di persone innocenti, mi sono imbattuto in quella che era la vecchia baracca destinata a bordello del campo, ma che oggi è una normalissima e moderna casa, ristrutturata alla bene e meglio.

Certo, l’impatto con il memoriale non è stato comunque semplice, perché in questo senso folle di indifferenza, le colorate ed eleganti villette affacciano sul crematorio presente nel bel mezzo di questo strano villaggio.

Questa è una prova evidente del fatto che i frutti dell’oblio e dell’indifferenza circa la storia e gli orrori del Novecento sono già sotto i nostri occhi. Non è una remota ipotesi quella che preoccupa chi ha vissuto quella devastazione dell’umano che tutto ciò possa ripetersi, ma una realtà. Certo, rimanere attoniti, sentirsi raggelare il sangue e non capacitarsi di certi comportamenti non basta, non è sufficiente a fermarli e invertire la rotta. Che fare, quindi? Credo si debba fare più storia. Non smettere di raccontarla, anche laddove ci sono fonti e testimonianze pubblicate, interrogarsi a partire dal proprio contesto e quotidiano. Perché in fondo il senso della storia è quello di comprendere meglio il mondo in cui viviamo, dandoci gli strumenti per poterci difendere dalle minacce che incombono, potendo disinnescarle sul nascere.

Lascia un commento