Tre file dopo

Ero seduto sul treno che mi riportava a casa. Un altro giorno finito, finalmente. Uno di quelli che sembrano non voler passare mai, dove anche l’aria pesa il doppio.
Ero stanco. Troppo.
Il mio sguardo era perso nei pensieri, cercavo distrazione ovunque — anche nel nulla. Ero nella prima fila del vagone, lato corridoio.
Provavo a distrarmi, ma niente funzionava. Né il telefono, né il paesaggio fuori dal finestrino. Là fuori tutto correva via sbiadito, come se anche lui fosse stanco.

Non faceva più il caldo soffocante dei giorni passati. L’aria, finalmente, si muoveva. Eppure, nonostante il sollievo, percepivo solo il respiro metallico del treno e il borbottio sommesso dei freni quando si fermò.

Fu allora che salì lei.

Entrò nel vagone e, per un attimo, la realtà si strinse. Tutto sembrò concentrarsi in quell’unico istante. La notai subito. Passò proprio davanti a me: lenta, sicura.
La precedeva un profumo dolce, che rimase nell’aria anche dopo che mi aveva superato. Un profumo buono, nuovo, diverso da tutto quello che avevo sentito fino a quel momento.

Aveva i capelli lunghi, mossi, castano chiaro. Morbidi, ordinati, ma non in modo forzato — in modo naturale. Bello.
Indossava una camicia di lino bianca, leggera, sopra un top dello stesso colore, e una gonna lunga che le accarezzava le gambe mentre camminava. Al collo, una collana sottile con un piccolo ciondolo che brillava ogni volta che prendeva luce.

Si sedette tre file dopo la mia, di fronte, sul lato opposto del corridoio. La vedevo benissimo. Anzi, non riuscivo a non guardarla.

Aveva un libro con una copertina gialla poggiato sulle gambe. Lo teneva con una mano, mentre con l’altra arrotolava con grazia una ciocca di capelli attorno al dito. Quel gesto — semplice, ripetitivo, lento — aveva qualcosa di ipnotico.
Lo faceva con una delicatezza e una femminilità che non avevo mai visto. Ogni suo movimento sembrava parte di una coreografia silenziosa.

Il suo viso era definito, elegante. Labbra piene, ma non eccessive. Occhi chiari, limpidi anche da quella distanza. Ogni tanto sollevava lo sguardo dal libro e lo lasciava scorrere lungo il vagone.

Mi chiesi chi fosse, dove stesse andando, se anche il suo giorno fosse stato pesante come il mio — o magari più leggero.
Avrei voluto chiederle qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma tutto mi sembrava fuori luogo. E io, fuori tempo.

Due fermate. Solo questo ci divideva.

Quando il treno iniziò a rallentare, capii che il momento era finito.
I nostri occhi non si incrociarono. Nessun sorriso. Nessuno sguardo.
Ma bastò.

Scesi.

Il treno ripartì.

E io rimasi fermo sulla banchina, con una sensazione nuova. Di quelle che non sai spiegare, ma che restano con te. Silenziose.

Lascia un commento