La bottega che svaniva

C’era una volta, in una via di paese, una piccola bottega. Non era nuova, non era appariscente. Una porta in legno consumato, una vetrina opaca, nessuna insegna. Solo il profumo del legno e della colla che filtrava ogni tanto sul marciapiede, quando la porta rimaneva socchiusa.

Dentro, ogni giorno, un uomo lavorava in silenzio. Con mani pazienti, misurava, tagliava, levigava. Non aveva fretta. Le sue dita sapevano cose che nessun manuale avrebbe potuto insegnare. Ogni mobile, ogni cornice, ogni intarsio sembrava nascere non dal legno, ma dalla memoria. Una memoria fatta di gesti, tramandata da generazioni. Eppure, nessuno si fermava.

La gente passava davanti alla bottega come se non ci fosse. Era lì — e non era lì. Ogni giorno un po’ più trasparente. Ogni giorno più invisibile.

Ma un mattino, lungo quella stessa via, passò un bambino. Teneva la mano del padre e guardava tutto con occhi larghi. Quando arrivarono davanti alla bottega, si fermò di colpo.

«Papà… guarda!» sussurrò.
«Guarda come lavora!»

Il padre si voltò. Guardò dentro. E vide. Vide le mani dell’artigiano muoversi lente, precise. Vide la polvere di legno danzare nella luce. Vide una storia che non conosceva — ma che gli sembrava familiare.

Un altro passante si fermò. Poi un altro ancora. La bottega, che da tempo stava svanendo, cominciò a ritornare. La vetrina si rischiarò. I colori tornarono sulle pareti. E l’artigiano, alzando per un attimo lo sguardo, vide il riflesso dei volti alla finestra. Sorrise appena.

Sul banco, tra pialle e trucioli, c’era un libro. La copertina era semplice, ma viva.
C’era scritto: Storie Artigiane.

Perché ogni artigiano ha una storia. E nessuna bottega merita di svanire.

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