Una stanza tutta per sé (quasi)

Cronaca di una donna (quasi) adulta in fuga da se stessa e dalle disavventure.

CAPITOLO 3

Così Rosa era ripartita da lì: dal divano di un’amica. Non uno qualsiasi, ma un divano blu, profondo e comodo, che le sembrava quasi un letto a baldacchino, come nei film delle principesse. C’era un plaid a righe che profumava di ammorbidente buono, e al mattino il borbottio della moka in cucina le dava l’illusione di trovarsi in un vecchio cottage inglese.
Ogni dettaglio era così teneramente perfetto da commuoverla. Per qualche giorno visse dentro quella parentesi poetica, come se Milano si fosse trasformata in una carezza — o almeno in una scena di un film francese: lei in vestaglia, la tazza fumante tra le mani, i capelli raccolti e la malinconia sospesa nei raggi di sole sul parquet.

Ma — perché c’è sempre un ma— ogni poesia ha una fine. E Rosa non era mai stata capace di restare a lungo nei luoghi che sembravano troppo belli. O forse, pensava, non si sentiva mai abbastanza da meritarli.
Così, una mattina, prese una decisione: doveva trovare una sistemazione tutta sua. O almeno un letto che non fosse provvisorio, in prestito, con il peso silenzioso della gratitudine forzata a gravare su ogni gesto.

C’era sempre Luca.
Luca, che con quella sua naturalezza imbarazzante, una sera le aveva detto:
«Se vuoi puoi stare da me, ho il lettone grande. Faccio spazio volentieri.»
«No grazie, sto bene così.»
Aveva risposto d’istinto. Ma il cuore, in quel momento, le era partito in controtempo.
Perché con Luca c’era quella zona grigia in cui non succedeva mai nulla… ma poteva succedere tutto.
E Rosa, che conosceva fin troppo bene il disordine delle sue emozioni, aveva preferito ignorare la proposta. Fuggire ancora una volta da ciò che non sapeva gestire.

Eppure, lui rimaneva lì. Presente, ma non invadente. Una rarità.

La svolta arrivò con Chiara, una collega conosciuta da poche settimane.
Una di quelle persone accoglienti, sempre con un sorriso in più e una tisana pronta anche alle nove del mattino.
«Ma vieni da me, dai. Tanto c’è una stanza libera, e i miei gatti ti adoreranno!»
Detto, fatto. O quasi.

Chiara non era una cattiva persona. Tutt’altro. Aveva un cuore grande, forse troppo, che traboccava nella vita degli altri con entusiasmo, come se l’affetto dovesse riempire ogni angolo disponibile.
Rosa ci mise poco a capire che, più che un’ospite, si sentiva una concorrente inconsapevole di un reality.
«Hai dormito bene?»
«Hai fatto colazione?»
«Hai visto le nuove storie dei miei gatti? Guarda, qui fanno finta di litigare!»
All’inizio sorrideva. Poi smise. Poi cominciò a rispondere con grugniti.

Eppure, era un passo avanti. Un altro pezzo di mappa. Una delle tante stazioni intermedie del suo pellegrinaggio domestico.
Rosa non aveva ancora trovato il suo posto nel mondo, ma aveva imparato a riconoscere quando un posto non era più il suo.
E forse, in fondo, era già qualcosa.
Un inizio. O almeno, una direzione.

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