
In un piovoso pomeriggio di settembre, prima di chiedere a Lorenzo Zucchi di lavorare a una riedizione de Il motore siamo noi, mi sono interrogato più volte sull’utilità di rivisitare questa storia a cinque anni e mezzo dal 1° ottobre 2019 — data d’inizio della vertenza — e a quasi tre anni dal 1° maggio 2023, giorno della firma del licenziamento collettivo.
Un libro lo abbiamo già pubblicato. Un libro, in un certo senso, parziale: racconta solo la fase iniziale della nostra vicenda. Edito da People, è uscito il 1° maggio 2020, in una data quanto mai simbolica. Da quel testo, io e Marco Nicosia abbiamo tratto ispirazione per realizzare un film documentario, oggi disponibile gratuitamente sul mio canale YouTube. Persino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, venuto a conoscenza della nostra situazione, mi ha risposto personalmente, ringraziandomi per la copia ricevuta.
Eppure, come diceva un mio ex collega: «Ormai i giochi sono fatti. A cosa serve insistere?». Una domanda legittima.
Una delle ragioni che ci ha sempre spinto a non abbassare la guardia è stata la continua circolazione di voci su una possibile “chiusura temporanea” dello stabilimento. Durante le riprese del documentario, nel giugno 2024, tengo a precisare che eravamo in regola: avevamo l’autorizzazione del Sindaco di Pregnana Milanese e, ogni volta, avvisavamo via e-mail la polizia locale, informandola che ci saremmo recati nell’area pubblica antistante lo stabilimento — che ancora oggi esiste — per effettuare delle riprese. Nonostante ciò, si ripeteva puntualmente lo stesso copione: arrivava una pattuglia della vigilanza privata. E io mi chiedo: avete mai visto un’azienda chiusa da anni che mantiene ancora una sorveglianza privata attiva 24 ore su 24?
Ogni volta ci veniva intimato di andar via, con la minaccia di chiamare i carabinieri. E ogni volta noi chiedevamo di farlo, certi di non infrangere alcuna legge. Questo atteggiamento ambiguo ha sempre alimentato in noi il sospetto che ci fosse ancora qualcosa da nascondere, impedendoci di voltare definitivamente pagina.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, il 30 luglio 2025 è arrivata la notizia bomba: Exor, l’azionista di maggioranza, ha ceduto Iveco al gruppo indiano Tata Motors. Un altro pezzo di industria italiana è passato in mani straniere. E lì mi sono chiesto: esiste ancora una politica industriale in questo Paese?
È anche per questo, per dare ancora una volta voce ai lavoratori — e in particolare alle mie ex colleghe ultra cinquantenni, che hanno pagato il prezzo più alto in questa vicenda e che, come spesso accade, rimangono l’anello più debole in tutte le vertenze — che abbiamo deciso di non rimanere in silenzio.
Ah, dimenticavo. Qualche tempo fa parlavo con un funzionario sindacale. Mi disse: «Fossi in te, starei attento a continuare a parlare di questa vertenza. Tutto sommato, siete stati trattati bene. In molte altre crisi aziendali i lavoratori vengono buttati fuori dall’oggi al domani, senza alcuna tutela. A voi, almeno, sono state offerte opportunità di ricollocamento e incentivi economici». La mia risposta è stata semplice: «Hai ragione. In confronto ad altri siamo stati dei privilegiati. Ma attenzione a non alimentare la guerra tra poveri. Perché, a furia di scavare nel fondo del barile, si finisce sempre più in basso. E un rappresentante dei lavoratori resta tale solo se sta dalla loro parte. Altrimenti, forse è il caso di cambiare mestiere e passare alle organizzazioni datoriali».
Per tutti questi motivi, ho scelto di dare un seguito alla nostra storia e di affidarla a uno scrittore che conosco e con il quale ho portato in giro per la Lombardia alcuni dei miei testi. Questa riedizione non riporta più nomi e situazioni originali, già descritti nel primo libro, ma vuole trasmettere quanto la vicenda da noi vissuta sia stata — e possa essere — universale.
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