
Come racconto nella parte introduttiva di uno dei miei libri, “Quello che le mani non dicono”, nel pezzo intitolato “L’amore per la fotografia”, ho sempre avuto una forte passione per la fotografia e, più in generale, per le arti visive. Appartengo a quella generazione che ha vissuto il passaggio dall’analogico al digitale. Eppure, nonostante tutto, non ho mai sviluppato una pellicola in camera oscura.
Da ragazzino, nella mia città natale — Foggia — compravo macchine fotografiche usa e getta a rullino, che consentivano un numero limitato di scatti, in base alla capacità del rullino stesso. Una volta terminato, portavo tutto nei negozi di fotografia, che negli anni 80’ e 90’ si trovavano in molti angoli delle città, per far sviluppare le immagini.
Provengo da una famiglia umile ma piena di dignità. Sono il secondo di cinque figli e a casa si facevano i salti mortali per condurre una vita normale: non c’era spazio per il superfluo. Questa condizione mi faceva vivere la fotografia con una certa distanza, quasi come se fosse un hobby d’élite, riservato ai ricchi. Mi piaceva osservare le belle immagini e cercare di carpirne la bellezza.
Nel 2010 arrivò la prima vera svolta. Per il mio trentaduesimo compleanno, il 24 dicembre, una mia ex fidanzata mi regalò la mia prima macchina fotografica: una Nikon Coolpix, una di quelle compatte che andavano tanto di moda. A me sembrava un autentico tesoro.
Vi chiederete: come mai, nel 2010, una semplice compatta poteva sembrare un tesoro a un uomo di trentadue anni?
La risposta è semplice. Dal 1996 avevo scelto di emigrare e vivere da solo, lontano dalla mia famiglia. Tutto ciò che facevo dipendeva solo da quello che guadagnavo con il mio lavoro. Nel 2006, mentre lavoravo in fabbrica, decisi anche di iscrivermi alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano. Insomma, continuavo a fare i salti mortali per costruirmi una vita normale.
Il vero colpo di scena arrivò nel 2013, quando mio fratello Gabriele — il quarto dei cinque — mi regalò una sua vecchia reflex, sempre una Nikon. Da lì iniziai a scattare e a studiare fotografia. Ovunque andassi cercavo di emulare i turisti orientali, sempre pronti a fotografare ogni dettaglio. Ma non ero soddisfatto dei miei risultati. Così iniziai a comprare libri, a visitare mostre fotografiche di grandi maestri internazionali e, nel 2014, mi iscrissi al fotoclub di Pero.
Da quel momento iniziai con determinazione a partecipare alle uscite con gli altri soci, ma la vera svolta arrivò quando il club organizzò un corso per principianti con il fotografo Fabrizio Pavesi come docente. Iniziai a seguire assiduamente i suoi workshop, molti dei quali erano personalizzati: intere giornate di lavoro sul campo, solo io e lui.
Scelsi Fabrizio perché adoravo il suo stile e le sue fotografie: volevo imparare una tecnica che mi affascinava, quella di riprodurre in fotografia ciò che Caravaggio realizzava nelle sue opere, esasperare le luci e le ombre per trasmettere qualcosa di suggestivo. Fabrizio era la persona giusta per me.

Non smetterò mai di ringraziarlo. Mi “bacchettava” spesso perché voleva trasmettermi l’importanza di realizzare uno scatto perfetto già in macchina. La post-produzione, secondo lui, doveva essere solo un valore aggiunto, utile a esaltare qualche dettaglio, ma la fotografia doveva essere già perfetta nel piccolo monitor della reflex.

Certo, a volte poteva sembrare frustrante: riusciva con gentilezza a “distruggerti” una foto che ritenevi un capolavoro. Ma quella sua precisione mi ha insegnato tantissimo. Mi ha allenato lo sguardo e la mente. Oggi, quando penso a una fotografia, mi basta chiudere gli occhi: lo scatto è già scolpito nella mia mente, e questo lo devo a lui.

Ricordo un aneddoto: nel mondo della fotografia c’è un brutto vizio, quello di dire “tanto poi la sistemo in Photoshop” o “ritaglio dopo”. Fabrizio mi teneva ore su una scena, insegnandomi che la composizione doveva essere chiara nella mia testa e perfetta nello scatto, senza scorciatoie. Se oggi, dopo dieci anni, ho sviluppato un’attenzione quasi maniacale al dettaglio, è merito suo.
A un certo punto iniziai a chiedergli di organizzare un workshop di fotografia di moda, ma mi fece capire che non era il suo mondo. Così mi misi alla ricerca di un altro professionista specializzato e, per caso, incontrai Irina Litvinenko, una fotografa ucraina che all’epoca aveva lo studio in Viale Piave a Milano.

Feci il mio primo corso con lei nell’ottobre del 2019, ma poco dopo arrivò il Covid, che rallentò tutto. Tuttavia, la mia costanza e la mia tenacia ebbero la meglio: nel 2021 riuscimmo a organizzare un corso altamente specializzato. Eravamo solo in due allievi — io e la fotografa russa Daria — e quell’esperienza mi permise di comprendere come realizzare editoriali di moda per i grandi brand internazionali.

Grazie a quella formazione, oggi sono in grado di proporre a uno stilista un servizio fotografico su misura, analizzando la sua collezione e offrendo la migliore soluzione per valorizzare il suo prodotto.

Con il tempo, però, ho capito che con l’uso massiccio degli smartphone e l’accesso sempre più facile a strumenti di editing avanzati, chiunque poteva trasformare uno scatto mediocre in un “quasi capolavoro”. Così ho sentito il bisogno di ampliare le mie competenze e ho iniziato a studiare il mondo del video.
Ho aperto il mio canale YouTube con l’obiettivo di portare contenuti di qualità e cultura. All’inizio dell’estate 2024, dopo aver inviato gratuitamente il libro “Il Motore siamo Noi” a tredici case di produzione cinematografiche italiane — senza ricevere risposta, tranne un cenno da Fandango — mi è venuta un’idea folle: ho chiesto a Marco Nicosia, regista teatrale, di coprodurre con me un film documentario.
Lui, più incosciente di me, ha accettato subito. Così, durante quella stessa estate, ho girato, montato e prodotto il mio primo film documentario che porta lo stesso titolo dal libro: “Il Motore siamo Noi”, liberamente visibile sul mio canale YouTube.
Per concludere, voglio dire una cosa che può sembrare banale, ma che considero il sale prezioso della vita:
Nella vita bisogna formarsi sempre, restare curiosi e aggiornati, ma senza costanza e determinazione non si va da nessuna parte.

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