di Le cose che non diciamo
Il coraggio di cambiare: un viaggio di rinascita personale
Il vero cambiamento inizia quando capisci che sei tu a doverti muovere. Per troppo tempo sei rimasto immobile, aggrappato a certezze che credevi incrollabili. Poi arriva il giorno in cui, come per incanto, quelle certezze vengono spazzate via. E no, non serve una forza dirompente: spesso basta un leggero venticello, e all’improvviso ti ritrovi completamente nudo, senza più nessun appiglio.
A quel punto hai due possibilità: restare fermo, ripiegato su te stesso, a piangerti addosso e imprecare contro l’universo e la sorte; oppure — con dolore e fatica — rialzarti e camminare, iniziando a lasciar andare, una dopo l’altra, tutte quelle false sicurezze. Le abbandoni come zavorre lungo il cammino, liberandoti.
È lì che comincia un nuovo percorso. Senza una direzione precisa, guidato soltanto dalla forza stessa del cambiamento. È questa forza a spingerti verso qualcosa che, inizialmente, ti spaventa, ma che, una volta superata la paura, può condurti alla piena realizzazione personale.
Scriverlo può sembrare facile, qualcuno potrà anche obiettare. Ma fidatevi: è l’unico modo possibile per mantenere la propria sanità mentale. Attraversare il dolore — anche quello più devastante — non cancella il potere che ciascuno di noi ha dentro: l’istinto di sopravvivenza. E sì, è tutto nella mente.
Certo, le scorciatoie non mancano. Quelle che sembrano semplici e rassicuranti, almeno all’inizio. Quante volte nei film vediamo persone affrontare il dolore rifugiandosi nell’alcol, nella droga o nel cibo? Ma il risultato è sempre lo stesso: l’autodistruzione.
Se invece ci affidiamo a quell’istinto e, nella fatica più atroce, riusciamo a darci piccoli obiettivi quotidiani, allora — lentamente e con impegno — possiamo tornare a vivere. Recuperare almeno il “minimo sindacale” della nostra esistenza.
E poi, quando il peggio è passato, con l’aiuto di qualcuno o di qualcosa — magari la fede — si può davvero cominciare un cammino di rinascita.
Sia chiaro: nulla è semplice. Serve coraggio, la voglia di rimettersi in discussione, il tempo necessario perché le ferite possano rimarginarsi. Ma vi assicuro: è possibile.
Io, un giorno di settembre, ho visto la mia vita precipitare nel baratro. Quel tunnel, l’ho attraversato.
Qualche anno prima avevo perso il lavoro, e poi anche l’ultimo punto di riferimento è crollato.
Sono grande abbastanza per non lasciarmi abbattere da una relazione che finisce — non sono più un adolescente — ma mi sono ritrovato solo, senza più nulla e senza una spalla su cui appoggiarmi.
Nei primi due mesi andavo a dormire con la paura di non svegliarmi. Non ho mai pensato, nemmeno per un istante, di porre fine alla mia vita. Certo, però, temevo che il mio cuore non reggesse a tutto quel dolore, giorno dopo giorno, nella solitudine, senza uno spiraglio, senza un lavoro.
Mi sono aggrappato all’istinto. Mi sono dato una routine. Ho cercato di ingannare la mia mente, di tenerla impegnata, per non restare lì a fissare il soffitto e ripensare sempre alle stesse cose, con il rischio che il cervello andasse in fumo. Con i miei tempi, ho aspettato che le ferite si rimarginassero. Nel frattempo, ho cominciato a camminare.
Oggi posso finalmente dire di essere felice e di ringraziare quella forza che si è risvegliata dentro di me. Ho avuto la fortuna di ricevere un’educazione solida dai miei genitori, e la fede mi è stata trasmessa fin da quando ero piccolo. Provo a banalizzarla un po’, per strapparvi un sorriso: avevo l’aiuto da casa.
Durante questo percorso di cambiamento ho deciso di scrivere. Una parola grande, lo so. Soprattutto detta da me, che non mi sono mai sentito capace. Eppure ha avuto un valore enorme. Ho iniziato con brevi racconti ispirati dalla mia fantasia, che pubblicavo su questo blog, grazie al fondamentale aiuto della mia cara amica Sara (la filosofa veneta), che con pazienza li sistemava e ordinava.
Devo dirlo: è stata una vera terapia. È proprio vero quando si dice che scrivere cura la mente e l’anima.
Poi è arrivata la svolta: un incarico temporaneo al Comune di Milano, dove ho conosciuto tante colleghe straordinarie. Due di loro, Tiziana e Nancy, hanno ispirato un personaggio che ha cambiato completamente la narrazione. Così ho deciso di continuare a scrivere, seguendo i loro consigli.
La dicotomia iniziale tra Sole e Luna non aveva più senso. Il primo personaggio, Marisol, doveva evolvere. È nato così un nuovo nome: Aurora, che non indebolisse il ruolo centrale di Maricel — il personaggio della speranza, colei che innesca il vero cambiamento.
In tutto questo, una cosa fondamentale l’ho capita: non bisogna inseguire gli schemi che la società ci impone. La cosa più importante è realizzarsi come persone. Una persona realizzata è anche una persona felice. Solo allora si può essere una buona fidanzata, compagna, moglie — o un buon fidanzato, compagno, marito: vale per tutti. Non vivete con ansia questa ricerca. Non è necessario avere per forza qualcuno al proprio fianco. Accontentarsi del primo che capita porta solo infelicità.
Ecco perché vi porto con me in questo viaggio di sentimenti: per aiutarvi a capire, prima di tutto, che ognuno di noi è un dono prezioso. E che, ancor prima, dobbiamo imparare ad amarci e rispettarci.
Buona lettura.
Ah, dimenticavo: alla fine di ogni capitolo troverete il link a un video musicale su YouTube. Vi consiglio di ascoltarlo e guardare le immagini prima di passare al capitolo successivo, lasciandovi trasportare dalla canzone.
E non dimenticate di iscrivervi al mio canale YouTube: @PaoloMansolillo, uno spazio dove racconto storie che si possono guardare.
La canzone che ti suggerisco di ascoltare è:
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