Capitolo 1

Il giorno zero, quando il tempo si fermò

“Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente esistenti o accaduti è puramente casuale.”

25 novembre 2012

L’aria aveva il sapore dell’inverno imminente, e il freddo si insinuava sotto gli abiti, tra le pieghe della pelle, fino a raggiungere le ossa. Le strade sembravano più vuote del solito, come se anche le persone, quel giorno, avessero deciso di restare in silenzio. Tutto era immobile, sospeso. Il cielo era grigio, compatto, come una coperta pesante stesa sopra il paese. Quel paese di circa diecimila abitanti, ai confini di Milano, diventato la vera casa di Alessandro, che, ancora ragazzino, molti anni prima vi era arrivato per caso, dopo aver vagato per l’Italia in cerca di un futuro migliore, portando con sé sogni e speranze. Ora aveva un lavoro stabile, di quelli che ti permettono di costruirti una vita solida, e una passione per la politica. Quell’anno si teneva un appuntamento molto importante: c’erano le primarie nazionali. Negli ultimi mesi aveva seguito da vicino l’organizzazione, partecipando attivamente alle iniziative; proprio per questo motivo, non poteva mancare. Seguiva però poco l’attività politica nel suo paese, era molto più attivo in una cittadina lì vicina, dove ricopriva un ruolo significativo. Quella domenica mattina, ignaro di quanto stava per accadere e un po’ controvoglia, fu costretto a recarsi nella sede del partito del paese. Era anche uno di quei periodi in cui si era fissato con l’inglese. Aveva provato più volte a studiare quella lingua, che per lui sembrava una vetta da scalare, ma negli ultimi tempi le cose sembravano andare meglio. Proprio per questo, quell’impegno di un’intera giornata gli sembrava quasi un intralcio: temeva di spezzare il ritmo. Inoltre, aveva vissuto da poco una delusione cocente: a causa del suo inglese incerto e di altri inconvenienti, pochi mesi prima, il visto per l’Australia gli era stato negato. Voleva fare una pazzia, cambiare completamente vita, andare dall’altra parte del mondo, mettendo in gioco anche il suo lavoro stabile e sicuro.

Quella mattina non fu tra i primi ad arrivare nel locale dove si sarebbero svolte le primarie e, dopo aver salutato i presenti, si accorse di non conoscere tutti. Come sempre, capitava nei momenti in cui non aveva molta voglia di fare qualcosa, poi — come per incanto — qualcosa accadeva. Ci fu un attimo di silenzio, e fu in quell’istante che la vide. Ma proprio quando incrociò il suo sguardo, una voce risuonò nella sua testa, dicendogli: “Vedi che promette bene, questa giornata.”

Lei era lì. In piedi, di lato nella sala, mentre compilava scartoffie.

Aurora.

Indossava un cappotto nero, lungo fino al ginocchio, e una sciarpa di lana chiara che le incorniciava il viso. In quel momento stava scambiando due parole con Francesca, un viso familiare per entrambi. Parlava amabilmente, e sul volto aveva un sorriso pieno di vita. Ma nei suoi occhi c’era qualcosa di distante, come se osservasse il mondo da una finestra invisibile. C’era un’ombra gentile nel suo sguardo, un velo sottile che le impediva di ancorarsi davvero al momento presente. Fu allora che notò le sue mani. Piccole, affusolate, curate. E per un motivo che non seppe spiegarsi, fu proprio in quel dettaglio che si accese qualcosa. Avrebbe voluto sfiorarle. O anche solo prenderle tra le sue, sentirne il calore, addirittura baciarle. Non l’aveva mai vista prima. Ma fu come riconoscerla. Lei si voltò, forse per caso. E per una frazione di secondo i loro sguardi si incontrarono. Un istante. Forse meno. Ma bastò.

I lavori erano iniziati molto presto, anche se, colpevolmente, Alessandro — a causa del suo ritardo — aveva saltato una parte iniziale. Verso metà mattina, intorno alle 10:30, dopo una serie di battute con Francesca su quale pizza scegliere per il pranzo, propose di fare una pausa, estendendo l’invito a tutti i presenti. Chiese se a qualcuno andasse di bere un caffè al bar della piazza, ma solo Aurora accettò — per fortuna. Finalmente erano soli e li lui poteva iniziare a parlare liberamente con lei. Ovviamente, il breve tragitto dal locale al bar divenne interminabile, i due iniziarono a chiacchierare, a farsi domande, camminando a passo di lumaca. Lo scambio cominciò con le classiche domande di rito.

Lui le chiese: «Cosa fai nella vita?»

E lei rispose, con molta fierezza: «Sono una ricercatrice».

Superati i convenevoli, fu lei a prendere in mano la conversazione, iniziò a parlare della sua ricerca, che stava portando avanti nel Nord Europa. Ciò che colpì in modo molto simpatico Alessandro fu che Aurora teneva così tanto a quel progetto di vita che, fin da subito, lui notò una cosa curiosa: a qualsiasi domanda, anche la più distante dal tema, per esempio, “Cosa mangiamo oggi?” Lei riusciva comunque a riportare tutto alla sua ricerca. Questa lo divertiva molto. Fu una conversazione semplice, ma tra i due, in maniera inspiegabile e senza cose eclatanti, si creò un’intesa incredibile. A un certo punto, lei disse qualcosa sul freddo, era molto freddolosa. E in effetti quel giorno faceva davvero freddo: tra guanti, cappello e sciarpa era quasi impossibile riconoscerla. Eppure era così bella. Una risata le scivolò leggera tra le nuvole grigie, come un soffio d’aria calda. Era una complicità che non aveva ancora un nome. I loro sguardi dicevano più di mille parole; si osservavano come per scrutarsi, in senso genuino. Non si conoscevano, eppure sembrava che le loro anime si fossero già incontrate, altrove, in un tempo indefinito. Era qualcosa che andava oltre le parole.

Arrivati al bar, mentre il barista le serviva il suo solito cappuccino — ormai la conosceva da tempo — notò che quella mattina, nei suoi occhi, brillava una luce diversa. Ma lei, non volendo mostrarsi fragile in qualcosa di così intimo, lasciò cadere la cosa: annuì appena e continuò a gustare la sua brioche. Era una ragazza molto riservata riguardo alle sue emozioni e difficilmente si lasciava andare a entusiasmi, soprattutto quando si trattava di qualcosa al limite della razionalità, che l’avrebbe potuta rendere vulnerabile. Fu una giornata intensa, durante la quale, tra i due, nacque una complicità inaspettata. Sembrava una scena tratta da uno di quei film romantici, in cui due sconosciuti non aspettano altro che la vita crei la condizione e il momento ideale per farli incontrare, inconsapevoli che in quell’istante qualcosa di molto forte stava scoccando. Oltre alle sue mani, Alessandro aveva notato in particolare la cura con cui lei spostava frequentemente i capelli da un lato all’altro, e quegli occhi che trasmettevano vita.  Aurora, invece, era rimasta colpita dalla sicurezza con cui Alessandro affrontava le varie attività: aveva capito che un uomo così oltre ad essere deciso, sapeva anche ascoltare, e tanto. Verso sera, quando ormai la giornata volgeva al termine, i due uscirono insieme, dopo aver salutato gli altri. Fecero un breve tratto di strada fianco a fianco, poi si salutarono senza scambiarsi alcun contatto, con la promessa di rivedersi un giorno, magari per una cioccolata calda o un caffè.

Nei giorni seguenti, entrambi tornarono alle rispettive vite: lui, preso dal lavoro e dalla routine; Aurora, immersa nei suoi viaggi in giro per l’Europa, impegnata nella sua ricerca. Di lei gli rimanevano solo un’impressione, un’eco. Eppure, lui continuava a pensarla: alla sua voce, all’espressione che aveva quando si passava una ciocca di capelli ricci dietro l’orecchio, al modo in cui sorrideva ascoltandolo con attenzione.

Così passarono i giorni, che divennero settimane e poi mesi. In un pomeriggio di noia e divano, lo schermo si accese, era comparsa una notifica. Era lei, che gli scriveva un messaggio molto semplice:
“Ehi, come va?”

Ad Alessandro non sembrava vero. Rispose immediatamente:
“Ciao Aurora, qui tutto bene. Tu?”

Lei rispose dicendogli che era felice per il lavoro che stava svolgendo, e da lì, piano piano, ripresero a parlarsi. All’inizio si trattava solo di qualche sera, con conversazioni esitanti, difficili da avviare. Ma da poche parole si passò a interi pomeriggi e serate trascorse a scriversi. Una danza lenta, fatta di frasi e silenzi. Alessandro non sapeva se la stesse corteggiando. Non apertamente. Anche perché Aurora gli aveva detto, con un tono tranquillo ma fermo, che era fidanzata. Felicemente, aveva aggiunto. Davide. Lo nominava come si nomina una certezza. Stavano per andare a convivere, lui stava concludendo l’acquisto della casa dove avrebbero costruito il loro futuro.

Ma qualcosa in lei si era incrinato. E Alessandro, senza volerlo, aveva toccato proprio quella crepa.

Passarono i mesi e, tra conversazioni via social dovute ai continui viaggi di Aurora per la sua ricerca, arrivò finalmente la fine di giugno di quell’anno: era il 2013 quando lei tornò stabilmente in Italia. Dopo sei lunghissimi mesi, finalmente si rividero per la prima volta. Lui andò a prenderla all’aeroporto. Era agitato, ma cercava di nasconderlo. Era arrivato a Malpensa con largo anticipo. Aveva pianificato tutto meticolosamente: il parcheggio a pagamento, per evitare qualsiasi problema; la posizione d’attesa, proprio fuori dalla porta degli arrivi, perché non voleva perdersi nemmeno un attimo di quel momento che aveva sognato per mesi. La porta si apriva e si chiudeva di continuo, ma i vetri oscurati rendevano impossibile vedere dall’altra parte. Ogni volta che si spalancava, il cuore di Alessandro batteva all’impazzata. E poi, finalmente, i loro sguardi si incrociarono. Lei aveva lo stesso sorriso gentile, ma stavolta c’era qualcosa di più.

Complicità? Attesa?

Lui l’abbracciò; lei aveva sentito il suo cuore battere così forte da sembrare sul punto di scoppiare, e poco dopo lo aveva anche preso in giro. Alessandro prese la valigia di Aurora e, con un sorriso enorme stampato in volto e una gioia smisurata nel cuore, camminava a pochi centimetri dal suolo: finalmente tutta l’attesa era finita, erano insieme. Così con calma, raggiunsero il parcheggio. Un percorso breve, che per loro sembrava interminabile. Nonostante Aurora fosse trattenuta — per ovvie ragioni — cercavano comunque di manifestarsi piccoli gesti di complicità. Una volta arrivati al parcheggio e saliti in macchina, iniziarono a conversare. Nel frastuono emotivo iniziale, Alessandro non le aveva ancora chiesto nulla del viaggio. Le fece alcune domande, si informò su com’era andata. Ma a un certo punto, entrambi insoddisfatti della semplice normalità, attendevano che uno dei due avesse un guizzo, rompesse gli argini. Fu allora che, non riuscendo più a trattenere il suo istinto, Alessandro si fermò in una piazzola di sosta lungo la tangenziale, quasi con un pretesto. Le chiese, scherzando, dei bacini sulla guancia. Lei sorrise e, compiaciuta, glieli diede. Sentiva anche lei il bisogno di un contatto fisico, di una passione che andasse oltre un semplice saluto amichevole. Alessandro era ben consapevole della situazione sentimentale di Aurora, ma ciò che si dicevano, ciò che si scrivevano, testimoniava ben altro. E Alessandro, persona passionale e focosa, lo sapeva perfettamente. Così uno dei viaggi più brevi della storia divenne improvvisamente più lungo: in fondo, entrambi sentivano ardere nel cuore qualcosa capace di far perdere la testa. Arrivati a casa di lei, Alessandro la aiutò a portare giù la valigia, poi la lasciò con la sua famiglia per la serata.

Qualche giorno dopo, Alessandro invitò Aurora a cena da lui. In quel periodo viveva in un monolocale molto semplice. Voleva stupirla con i sapori della sua terra, così le preparò un piatto di spaghetti alla chitarra conditi con un sugo di carne a pezzi, un pasto semplice ma autentico, che raccontava le radici di Alessandro. Lei apprezzò molto quel gesto e sembrava toccata da tanta cura. Iniziava a fare caldo, e lui aveva fatto di tutto per rendere la serata speciale. Dopo aver gustato la cena, si sistemarono sul piccolo divano nella zona notte di quei quaranta metri quadrati e decisero di guardare un film: un vero film romantico, uno dei preferiti di Alessandro, Le pagine della nostra vita — il cinema era una delle passioni che, col tempo, scoprirono di avere in comune. La serata passò in fretta, ma lasciò entrambi molto soddisfatti.

Nel frattempo, nei giorni successivi, Aurora continuava a progettare la casa con Davide. Passavano i weekend a scegliere mobili, accessori, piastrelle. Eppure, la sera tornava sempre da Alessandro, con un messaggio, una battuta, un pensiero da condividere. Poi arrivò il giorno dell’incontro. Un altro evento pubblico, questa volta in  un paesino poco distante dal loro. Un altro pomeriggio d’inizio estate, ma che sembrava freddo e sospeso. Questa volta, però, Aurora non era sola. Davide era con lei. Quando lo vide entrare nella sala al suo fianco, Alessandro capì subito chi fosse. E Aurora non lasciò spazio a dubbi: lo presentò come il suo compagno. Fu tutto molto educato, quasi normale. Ma negli occhi di Alessandro qualcosa si spezzò. E forse anche in quelli di lei, per un solo secondo, il tempo si fermò di nuovo. La cosa andò avanti così per qualche giorno.

Un equilibrio instabile, sospeso tra l’apparenza e il non detto. Si scrivevano ancora, si scambiavano battute, qualche foto, messaggi carichi di sottintesi che facevano vibrare l’aria. Ma qualcosa era cambiato. Alessandro iniziava a sentirsi stretto in quella dinamica ambigua. Sapeva che Aurora era ancora con Davide, e ogni volta che lei gli raccontava qualcosa della loro routine – un mobile scelto insieme, una serata tranquilla sul divano, la visita a un negozio di illuminazione – sentiva un pugno nello stomaco. Non era gelosia, almeno non solo. Era la sensazione di essere una nota a margine nella vita di qualcun altro. Di vivere un sentimento a metà, senza la possibilità di dargli un nome, né un futuro.

Poi venne quella sera.

Una conversazione apparentemente normale, come tante altre. Si parlava del solito: di lavoro, di sogni, di cose leggere. Ma qualcosa, dentro Alessandro, cedette. Forse fu un’espressione di lei, forse una frase di troppo, o forse solo la stanchezza di sentirsi sempre in seconda fila.

Le scrisse un messaggio. Lungo. Diretto.

“Non voglio essere la ruota di scorta di nessuno, Aurora. Non posso più fare finta che tutto questo mi stia bene. O scegli lui, e allora da oggi non ci vediamo e non ci sentiamo mai più. Oppure lo lasci. Per sempre. E inizi una relazione con me. Ma non ci può essere una via di mezzo. Non la voglio.”

Rilesse il messaggio più volte prima di inviarlo. Non tremava. Non aveva il cuore in gola. Era calmo. Profondamente convinto. Poi, premette invio.

Non sapeva cosa avrebbe fatto lei. Non sapeva nemmeno se fosse pronto davvero ad affrontare la sua risposta. Ma sapeva che doveva farlo. Per rispetto di sé stesso. E per rispetto di ciò che sentiva.

Il tempo, di nuovo, sembrava essersi fermato.

Si alzò dalla scrivania, si mise una maglietta, e uscì a camminare per il paese. Aveva bisogno di muoversi, di prendere aria, di allontanarsi per un attimo da quella stanza piena di pensieri. Il cielo era ancora nuvoloso, come settimane prima. Ma adesso Alessandro sentiva di avere fatto la cosa giusta. Per la prima volta, non aspettava una risposta. Aveva scelto di non restare fermo in un ruolo che non gli apparteneva. Se lei avesse avuto il coraggio di seguirlo, lo avrebbe scoperto presto.

Se no… avrebbe ricominciato da capo. Ma da uomo intero.

La canzone che ti suggerisco di ascoltare per questo capitolo è:

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