Capitolo 3

La costruzione fragile dell’eternità

“Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente esistenti o accaduti è puramente casuale.”

Amarsi, all’inizio, era stato semplice. Dopo quel primo bacio nel parco, Alessandro e Aurora si erano tuffati l’uno nell’altra come due naufraghi che finalmente si ritrovano. Le conversazioni si erano fatte confidenze, i messaggi carezze reali, i sogni progetti condivisi. Ogni momento passato insieme sembrava confermare che avevano fatto bene a rischiare.

Ma l’amore, quello vero, non si nutre solo di primi baci e pomeriggi rubati. Il loro primo vero appuntamento avvenne nel parco della Villa Reale, a pochi chilometri dal loro paese, in un sabato pomeriggio sorprendentemente deserto. Di solito, nel fine settimana, il parco era preso d’assalto. Solo in seguito scoprirono il motivo di quel silenzio insolito: il parco era stato chiuso per una visita del Presidente della Repubblica. Eppure, in qualche modo, nonostante le forze dell’ordine presidiassero l’ingresso principale e gli accessi secondari fossero sbarrati, riuscirono a entrare. Fu un pomeriggio da favola. Portarono con sé un telo e passarono un paio d’ore sdraiati su quel prato che sembrava un’appendice del cielo, tanto era romantica l’atmosfera che i due avevano creato. Proprio un quadro del genere fece da cornice al loro primo vero bacio — e a molti altri, densi di passione e seduzione. Quando si trattò di uscire dal parco, ci fu un primo momento di preoccupazione per via degli accessi secondari chiusi, ma riuscirono comunque a trovare una soluzione per avvicinarsi indisturbati all’uscita. Una volta superato l’ostacolo delle forze dell’ordine e finalmente fuori dal parco, si fermarono a cenare in una pizzeria li vicino, per concludere la giornata, finalmente, come una vera coppia.

Con il trascorrere dei giorni arrivarono i primi, piccoli scossoni. Non veri litigi — almeno non ancora — ma silenzi più lunghi del dovuto, fraintendimenti, parole trattenute. Aurora se ne accorse per prima; in questo aveva una sensibilità particolare. Non era solo stanchezza, né il semplice riemergere di vecchi fantasmi. C’era qualcosa di più sottile, un’ombra che si insinuava tra un abbraccio e l’altro: e se non fosse bastato?

Alessandro era un ragazzo dal carattere particolare. Aveva sofferto molto in passato, incapace com’era di trovare il vero amore. Certo, il suo essere spigoloso e testardo non aiutava: era uno di quelli che la vita aveva messo a dura prova. Era diventato indipendente molto presto, per scelta. Sognava una vita migliore e aveva deciso di lasciare tutto e tutti, trasferendosi a diverse centinaia di chilometri dalla sua famiglia. I suoi scatti d’ira non facilitavano i rapporti, in questo Aurora era la sua fonte di serenità: la sua dolcezza e comprensione erano la medicina che leniva quelle vecchie ferite.

Su certi temi sembrava ingenuo, oppure si fingeva tale — come fanno quelli che hanno già amato e perso. Parlava del futuro con naturalezza, come se fosse ovvio che Aurora ne facesse parte: i viaggi, la casa in montagna, le cose semplici e condivise.

Eppure lei si sentiva ancora a metà. Non divisa — quella fase l’aveva superata — ma incompleta. Come chi ha saltato un gradino troppo in fretta. Aveva scelto, sì. Ma ora doveva imparare a restare. E restare richiede più forza di quella necessaria per andarsene.

Un pomeriggio d’estate, durante una passeggiata in uno di quei luoghi che poi sarebbe diventato del cuore — la cava — dopo aver camminato a lungo immersi nella natura, trovarono una panchina nascosta tra gli alberi e si sedettero. Alessandro, come faceva spesso, si sdraiò poggiando la testa sulle gambe di Aurora. Guardando il cielo, le sussurrò che avrebbe voluto invecchiare insieme a lei, proprio lì, su quella panchina. In quel momento fece la sua promessa: fare di tutto per vivere una vita accanto a lei, invecchiando con lei, amandola.

Lei sorrise. Era così coinvolta emotivamente da confermare anche lei quella promessa, nonostante nella sua mente si affollassero pensieri. «A cosa pensi?» chiese lui, accarezzandole il dorso della mano. Lei esitò, poi mormorò: «Che forse sto imparando ad amare davvero. E fa più paura di quanto immaginassi.»

Lui la guardò, in silenzio, come se volesse leggerle l’anima. Poi rispose soltanto: «Anch’io.»

Quel momento, semplice e silenzioso, bastò a sciogliere il peso delle aspettative che da giorni le gravavano dentro. Aveva capito che, nonostante le sue difficoltà, avrebbe potuto vivere quelle emozioni, perché, anche se Alessandro aveva un carattere difficile, in fondo era un tesoro raro. Aveva un cuore buono: aveva solo bisogno del suo amore.

L’estate continuava lenta e calda. Weekend insieme, cene improvvisate, messaggi che profumavano ancora di desiderio. Ma nell’aria cominciava a muoversi qualcosa. Un cambiamento sottile, come il primo vento d’autunno, che arriva prima ancora che le foglie inizino a cadere.

E poi, accadde. Una sera di luglio del 2013, a casa di Alessandro. Avevano cucinato insieme questa volta, la musica scivolava in sottofondo, e il tempo sembrava essersi sospeso. Quasi senza accorgersene, si ritrovarono uno di fronte all’altra, e le parole svanirono. Rimasero solo gli sguardi, i gesti, il respiro dell’altro. Quella notte i loro corpi si cercarono e si trovarono. Non fu solo passione, anche se non mancava. Fu qualcosa di più profondo, quasi sacro. Come se volessero imprimere sulla pelle ciò che avevano già deciso nel cuore: io ti ho scelto.

Era l’inizio di qualcosa. O forse, la conferma che quel qualcosa esisteva davvero. Avevano iniziato a costruire qualcosa. Fragile, sì. Ma autentico. Vero.

La canzone che ti suggerisco di ascoltare per questo capitolo è:

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