Le cose che non diciamo
“Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente esistenti o accaduti è puramente casuale.”
Primavera 2018
Le giornate si allungavano, ma Alessandro sentiva il tempo accorciarsi.
Le persone cominciavano a camminare più lente per strada, con giacche leggere poggiate sull’avambraccio e gelati consumati distrattamente davanti alle vetrine. I tavolini tornavano a riempire i marciapiedi, le biciclette sfrecciavano tra i semafori e le fermate affollate. Tutto sembrava tornare al suo posto, come ogni anno, quando la luce cambia senza preavviso e l’aria si fa meno fredda, ma non ancora calda.
Eppure, per lui, qualcosa era cambiato. Ma non fuori — dentro.
Con Aurora, in apparenza, tutto filava liscio. Si amavano, sì. A modo loro. Avevano imparato i silenzi dell’altro, i segnali, i piccoli riti quotidiani. Erano diventati l’abitudine più dolce che avesse mai conosciuto. Eppure, c’era qualcosa che sfuggiva. Come un filo tirato troppo a lungo, che non si spezza, ma che perde tensione.
Non parlavano più di vivere insieme. Non da tempo. L’idea era stata messa sul tavolo una sera, poco dopo quella vacanza in cui tutto sembrava ancora possibile. Alessandro aveva immaginato di dirlo in un momento speciale. Invece lo fece con naturalezza, mentre sparecchiavano. “Sei mai stata curiosa di sapere come sarebbe svegliarsi tutti i giorni accanto?” Lei lo guardò. Sorrise. Ma il suo sorriso fu troppo misurato, troppo educato. “Ci vedremmo meno bene, se ci vedessimo ogni giorno.”
La frase gli era rimasta impressa. Come un graffio. Aveva voluto crederle, e forse ci credeva ancora. Ma da allora, non ne aveva più parlato.
La questione del matrimonio fu ancora più netta. “Non fa per me,” aveva detto lei, una sera, con calma disarmante. “Non ho bisogno di un rito o di un anello per sapere cosa provo.” Alessandro aveva annuito. Perché era più semplice così. Perché litigare sarebbe sembrato fuori luogo. Ma da quel giorno, aveva smesso di immaginare certi momenti. E si era accorto che rinunciare ai sogni fa meno rumore di quanto ci si aspetti.
Poi c’erano i figli. Aurora ne parlava solo per negare, con la stessa fermezza con cui diceva di non credere alle promesse. “I figli sono un’opzione, non un destino. Io non voglio diventare madre. Né ora, né dopo. Mai.”
Era stato allora, forse, che dentro Alessandro qualcosa si era spento. Un fuoco piccolo, che non faceva male ma scaldava. Aveva provato a soffocarlo con la ragione, a convincersi che si può amare anche rinunciando. Ma dentro, c’era ancora quella stanza chiusa. Con le pareti piene di domande.
Una sera, cercando un vecchio file sul computer, trovò per caso una foto. Lei che rideva, con i capelli mossi dal vento. La sabbia chiara. Il cielo spalancato come una promessa. Quella vacanza lontana. Quel tempo in cui credeva che tutto si sarebbe costruito, piano. E poi, come un’eco, tornò il ricordo della donna anziana. La voce portata dal vento. “Quando amerete abbastanza da non dovervi dire tutto…”
All’epoca, quelle parole lo avevano colpito. Ma ora… ora capiva che si può amare tanto, e comunque tacere. Tacere per non ferire. Tacere per non rischiare. Tacere perché certe verità — anche piccole — spostano l’equilibrio.
Aurora tornò tardi quella sera. A volte, durante la settimana, si fermava a dormire a casa di Alessandro — un’abitudine ancora più frequente nei fine settimana. Per Alessandro, infatti, il venerdì sera era sempre un momento speciale: lo aspettava con trepidazione mentre preparava la cena per entrambi. Quel pomeriggio Aurora aveva tenuto una presentazione. Entrò con un fascio di fogli sotto il braccio, il passo leggero e distratto.
“Sei stanco?” chiese con naturalezza, sfiorandogli il viso.
“Un po’,” rispose lui.
Lei accese una candela sul tavolo, aprì la finestra. Iniziò a raccontargli qualcosa che era accaduto — un collega, una gaffe, una battuta riuscita — e rideva mentre parlava.
Quando si trattava delle sue cose, era molto loquace; aveva questa abitudine: ti riempiva di parole. Anche alla fine di una giornata, lei era luminosa, come sempre. Alessandro la guardava, e l’amava. Rimaneva affascinato, come sempre, dall’espressione del suo volto. Ma si chiese, per la prima volta in modo lucido, se bastasse.
Pensò a tutto quello che non si erano detti. Ai sogni lasciati sul bordo, senza mai guardarli bene.
Alla stanza chiusa dentro di lui, e a quella che — forse — c’era anche dentro di lei. E capì che ciò che li teneva uniti non era più solo l’amore. Ma anche la paura di toccare ciò che avrebbe potuto spezzarlo. Non disse nulla. Come ogni volta, scelse il silenzio. E nel silenzio, sentì che le cose che non diciamo sono quelle che finiscono per dirci chi siamo davvero.
La canzone che ti suggerisco di ascoltare per questo capitolo è:
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