L’altezza delle cose mai dette
“Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente esistenti o accaduti è puramente casuale.”
Estate 2019
Alessandro non ne parlava con nessuno. Non lo aveva mai detto nemmeno a lei, nemmeno per scherzo. Eppure, per mesi, aveva pianificato tutto.
Era successo in un periodo in cui le cose sembravano tranquille. Non perfette — con Aurora non lo erano mai — ma stabili, sì. Nel loro modo. Vivevano a pochi minuti l’uno dall’altra, in un piccolo paese dove le case sembrano parlarsi da una finestra all’altra e le biciclette fanno ancora suonare il campanello quando passano. La grande città era abbastanza vicina da raggiungerla in treno, ma abbastanza lontana da lasciarsi dietro il rumore.
La loro vita aveva preso un ritmo calmo, quasi gentile. Condividevano cene improvvisate, brevi viaggi, film scelti dopo lunghe indecisioni. E a volte — solo a volte — Aurora si lasciava andare a una tenerezza più quieta, meno trattenuta. In quei momenti, Alessandro la guardava e pensava: forse un giorno.
Fu allora che iniziò a immaginare davvero. Non un gesto clamoroso. Ma qualcosa di sincero. Qualcosa che avesse senso solo per loro.
Diversi anni prima, quando ancora non conosceva Aurora, in una domenica pomeriggio aveva scoperto un piccolo campo volo, nascosto tra campi coltivati e strade secondarie. Ci era arrivato grazie a una sua vecchia amica, Sofia, che non vedeva da tempo. Si trattava del campo volo di Tradate e, in una giornata di festa, erano stati lì insieme. Era rimasto positivamente colpito dal fatto che, con una cifra ragionevole, si potesse acquistare un biglietto per volare su uno di quei piccoli aerei da cinque posti. Il volo permetteva di sorvolare, in una quarantina di minuti, i laghi circostanti.
Ne fu talmente colpito che annotò quell’informazione nella mente e si ripromise che, il giorno in cui avrebbe voluto chiedere la mano alla sua futura moglie, lo avrebbe fatto proprio in quel modo.
Un volo panoramico, niente di eccessivo. Due posti vicini, il cielo aperto sopra di loro e, sotto, i laghi — visti come nessuno li aveva mai mostrati ad Aurora. La immaginava con il viso rivolto al finestrino, i capelli scompigliati dal vento dell’altitudine, lo sguardo sorpreso.
E poi, proprio in quell’istante, lui le avrebbe teso la mano, avrebbe tirato fuori la scatolina — un solitario piccolo, discreto, ma scelto con cura — e le avrebbe chiesto di sposarlo. Niente ginocchio piegato, niente scena. Solo parole. E il silenzio dell’aria attorno a loro.
Ma non lo fece mai.
Non comprò i biglietti. Non chiamò il campo volo. La scatolina, invece, sì: la comprò. E la nascose nel cassetto della scrivania, sotto una vecchia agenda, vicino a qualche cartolina mai spedita. Non era paura, la sua. Era una forma di rispetto. O forse di resa.
Aurora non voleva sposarsi. Non era questione di dubbio o di tempo. Lo aveva detto con chiarezza, più di una volta. “Il matrimonio non mi serve. Non è una scelta mia, non mi rappresenta. Non voglio entrare in qualcosa che non sento mio. Nemmeno per amore”.
Alessandro aveva ascoltato, annuito. Aveva detto va bene, come si dice quando si ama abbastanza da non voler forzare nulla. Ma dentro, un’immagine aveva cominciato a scolorire. Un futuro. Un giorno con un anello. Una promessa detta davanti a qualcuno — o magari a nessuno — ma detta.
Ogni tanto, la sera, quando tornava a casa e la radio restava accesa solo per non sentirsi solo, apriva quel cassetto. Guardava la scatola. La prendeva tra le dita, la apriva piano. E per qualche istante, si permetteva di sognare come sarebbe stato. Non era nostalgia. Era qualcos’altro. Una malinconia lucida, precisa. Come sapere di avere un’ala che non userai mai.
Poi richiudeva tutto. Spegneva la luce. E tornava alla realtà condivisa — fatta di parole sincere, di notti tranquille, di amore vero, ma incompleto.
Un giorno, tornando da una passeggiata tra i campi vicino al paese, lei disse: “Lo sai che potremmo essere felici anche così, vero?” Lui la guardò, sorpreso. “Così come?” “Così. Senza aggiungere altro. Solo… restando.” Lui sorrise. Le accarezzò la spalla. Non rispose. Perché sapeva che lei non voleva una risposta. Voleva solo pace. E gliela diede.
Ma dentro di sé, mentre il sole scendeva dietro le case basse del loro paese silenzioso, Alessandro pensava: e se la felicità, per me, avesse bisogno anche di tutto ciò che lei non riesce — o non vuole — darmi?
Era una domanda che non faceva rumore. Ma restava lì. Come un volo che non è mai partito.
La canzone che ti suggerisco di ascoltare per questo capitolo è:
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