Capitolo 7

La distanza dell’aria ferma

“Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente esistenti o accaduti è puramente casuale.”

Primavera 2020

Il silenzio era cambiato. Non era più quello morbido e condiviso delle sere insieme. Era un silenzio vuoto, assoluto. Un silenzio che rimbalzava sulle pareti e tornava indietro, più freddo di prima. Quando il mondo si era fermato, Alessandro aveva pensato — o forse solo sperato — che quel tempo sospeso li avrebbe avvicinati. Che sarebbe stata l’occasione per stare davvero insieme. In fondo, era quello che aveva sempre desiderato: condividere ogni giorno, non solo ritagli di vita. Un isolamento a due, dentro la stessa casa. Ma Aurora no. Aurora aveva scelto altro.

“Resto a casa mia. È più giusto così, non ha senso rischiare,” gli aveva detto con tono deciso. “Ci vedremo presto.”

Ma presto non arrivava. I giorni diventavano settimane, le settimane mesi. E lui era lì. Solo, dentro una casa che non aveva mai sentito così stretta. All’inizio provava a essere comprensivo. Le videochiamate serali, i messaggi al mattino. Si raccontavano le ricette improvvisate, gli esercizi per tenersi in forma, le notizie che cambiavano ogni ora. Poi qualcosa si era rotto. Forse la pazienza. Forse l’illusione che bastasse sentirsi per non perdersi.

Le prime vere litigate arrivarono così, in ritardo come certi temporali d’estate. Sotto forma di videochiamate tese, senza ironia. Le voci alzate, le pause cariche, le frasi sbagliate.

“Non ti sembra strano che proprio ora, in un momento così, tu voglia stare lontana da me?”
“Non voglio stare lontana, voglio stare al sicuro.”
“Sicuro da me?”
“Non farne un dramma, Ale. Lo sapevi com’ero.”
“Forse non volevo crederci.”

Una sera lui lo disse. Lo disse davvero.
“Forse non ha più senso, Aurora.”

Lei rimase in silenzio, dallo schermo. Non pianse. Non supplicò. Non si arrabbiò. Solo sospirò.
“Parliamo domani, dai. Sei stanco.”

Ma non era stanchezza. Era smarrimento. Era l’idea, per la prima volta concreta, che potesse finire. Eppure, non era solo l’isolamento. Alessandro portava dentro un’altra ferita, nascosta, che Aurora sapeva ma non nominava mai.

Qualche mese prima, a ottobre, la ditta dove lavorava da oltre vent’anni aveva annunciato la chiusura. Lo avevano fatto con parole fredde, precise, “inevitabili”. Aveva visto negli occhi dei colleghi lo stesso vuoto che sentiva lui. Non era solo il lavoro. Era una parte di sé che se ne andava.

Da allora viveva con l’ansia di ricominciare in un’età in cui non si ha più voglia di rincorrere treni in corsa. E in quel lockdown, senza Aurora, senza certezze, senza futuro professionale, qualcosa dentro si era incrinato davvero. Passavano le giornate in stanze diverse, in case diverse, a vite parallele. Lui cucinava per uno, parlava con se stesso. Lei leggeva, scriveva, faceva il suo workout, diceva di stare bene così. A volte rispondeva tardi. A volte sembrava distante. Troppo calma.

Alessandro, invece, sembrava impazzire. Guardava vecchie foto. Apriva la scatola con l’anello. Chiudeva. Apriva. Chiudeva.

Un giorno, mentre fuori le ambulanze passavano ogni mezz’ora e il cielo sembrava più basso del solito, le scrisse: “Ho bisogno che tu ci sia, non che tu mi pensi.”

Lei non rispose subito. Poi, dopo ore, mandò solo una frase: “Sto cercando di esserci nel mio modo. Tu non lo vedi?”

E lui si accorse che no, non lo vedeva. Non bastava più. Cominciò a pensare che la loro storia, così piena di pause e sospensioni, non fosse fatta per i momenti veri. Che l’amore, senza presenza, senza contatto, senza quotidianità, fosse solo una forma gentile di abitudine. Una nostalgia mascherata da scelta.

Il quarantesimo giorno , Alessandro si svegliò e non le scrisse. Per la prima volta da anni, non le mandò neanche un messaggio. E fu quello il silenzio più forte di tutti.

La canzone che ti suggerisco di ascoltare per questo capitolo è:

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