Capitolo 21

Quando finisce l’amore che non cresce

“Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente esistenti o accaduti è puramente casuale.”

La luce del mattino filtrava attraverso i lucernari della mansarda, accarezzando il letto sfatto dove, la notte prima, si era consumata una passione che ora sembrava appartenere a un’altra vita. Alessandro era sveglio da ore. Fissava il soffitto come se potesse trovarvi una risposta. Faceva caldo. Un caldo denso, opprimente. Ma il gelo che sentiva dentro era più difficile da sopportare.

Si alzò piano, nudo, e raggiunse il ventilatore. Lo accese con uno scatto nervoso. Il silenzio lo graffiava. Nessuna risata di Maricel, nessuna voce. Solo il vuoto, sordo e pesante, dell’assenza. Sul comodino, ancora aperto, c’era il biglietto di Aurora. Quel maledetto biglietto. Lo prese, lo osservò. E finalmente riuscì a dirlo ad alta voce:

«Avresti dovuto buttarlo via molto tempo fa.»

Non era rimasto lì per amore. No. Era rimasto perché Alessandro non aveva mai trovato il coraggio di chiudere davvero quel capitolo. Lo aveva lasciato sospeso, come se tenersi stretto un frammento di passato fosse più facile che affrontarne la fine.

Una settimana. Solo sette giorni. Nella normalità, un battito di ciglia. Ma per Alessandro erano stati un tempo sospeso, una lenta caduta dentro la consapevolezza. Ogni ora era un granello di sabbia pesante che scivolava nella clessidra di una fine annunciata. Era stato lui a chiederla, quella pausa.

«Finché non ti si dirada la nebbia in testa», le aveva detto.

E non sapeva che quelle sarebbero state le ultime parole dette da vicino. Le ultime sillabe a distanza di labbra. Le ultime pronunciate con affetto sincero. Quel sabato pomeriggio si erano incontrati a metà strada, come sempre. Lei sorridente, quasi premurosa. Lui, a disagio, cercava di non scivolare nella malinconia.

Volevano convincersi che fosse solo una parentesi, una breve tempesta. Bastava un po’ di tempo insieme per rimettere le cose a posto. Davanti agli altri erano ancora “una coppia”. Alessandro, d’istinto, l’aveva presentata come “la mia ragazza” a un vecchio amico. E Aurora, con un sorriso muto, non aveva detto nulla. Era stata lei, del resto, a voler mantenere il segreto sulla crisi.

È una cosa nostra,” aveva detto.

Ma quel “nostra” cominciava a suonare sempre più vuoto.

La serata era proseguita in una bolla surreale. Una sagra di paese, la stessa che avevano sempre evitato. Panino con la salamella, patatine, battute leggere tra amici. Ridevano. Si guardavano. Sembravano ancora “loro”. Eppure qualcosa non tornava. Fu al momento dei saluti, quando la accompagnò sotto casa, che Alessandro tentò l’unico gesto che gli sembrava naturale: avvicinarsi. Baciarla.

Ma Aurora si tirò indietro. Non con durezza. Solo… con finezza. Ma fu definitivo. In quell’esatto istante, Alessandro sentì franare ogni speranza. Come un sipario che cala di colpo, con un tonfo muto. La realtà si fece nitida, spietata. La distanza non era più fisica. Era diventata esistenziale. E irrimediabile.

Aurora non era più lì. E forse non lo era da tempo. Dentro di lei stava già germogliando qualcosa di nuovo.

Camminò verso casa con il cuore pesante, ripercorrendo con la mente ogni volta in cui aveva fatto quel tragitto dopo una serata con lei. Ogni stagione. Ogni ora del giorno o della notte. Ogni discussione. Ogni sorriso.

Non tramonti mai il sole sulla nostra ira.” Lo avevano promesso.

Ma il sole era tramontato. E al suo posto, restava solo l’eco di ciò che era stato.

Il biglietto, quello che Maricel aveva trovato, risaliva a quel periodo. Era un frammento sepolto in una scatola dimenticata. Un’illusione. Una proiezione. C’era scritto:

“Alessandro, ti amo. Forse non lo saprai mai davvero, ma per me tu sei casa. Tua, Aurora.”

Eppure se n’era andata.

Non per cattiveria. Non per mancanza di rispetto. Semplicemente, il suo amore non era cresciuto. Non aveva superato la prova del tempo. Non era riuscito a trasformarsi. A resistere. Ora Alessandro lo sapeva. Aveva amato un’idea. E Aurora aveva amato una stagione della sua vita. Non era stato vero amore. Era stato un riflesso. Un bisogno. Un desiderio passeggero.

“L’amore che finisce non è mai stato amore, ma solo una proiezione temporanea del desiderio.”
— Platone

Ciò che finisce, non era destinato a crescere. E ciò che cresce… vive.

Così prese il biglietto, lo guardò un’ultima volta… e finalmente decise di farlo a pezzi. Mille piccoli frammenti di carta che non facevano più male.

La canzone che ti suggerisco di ascoltare per questo capitolo è:

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